Archeologia virtuale e percezione architettonica
Un’analisi preliminare della situazione

Arch. Massimo Stefani

Co-fondatore dell’Associazione culturale Studio d’autore - Milano

Collaboratore del Centro Studi e Ricerche Archeologiche Precolombiane - Brescia


Premessa

In occasione di questo primo congresso virtuale d’antropologia e architettura intendo focalizzare l’attenzione dei partecipanti su un fenomeno ormai diffuso e capillare quanto possa esserlo la stessa diffusione di Internet.

È sicuramente evidente a quanti frequentino per motivi di studio o di svago la rete delle reti, quanto si stia diffondendo il fenomeno della comunicazione virtuale di dati, immagini e opinioni.

La presenza di siti archeologici virtuali, visitabili "in punta di mouse", di suoni, filmati e materiali archeologici più in generale non può più passare inosservata.

La presente relazione intende quindi analizzare il presente della Rete, i suoi aspetti peculiari, non dimenticando quanto sia stato fatto finora nel settore, dal punto di vista della percezione architettonica e archeologica.

Ieri: prima della Rete

Anche se ci può sembrare difficile, qualche decennio fa non esistevano né Personal computers, né tantomeno Internet.

La ricerca archeologica era disciplina di pochi, in genere persone di robusto capitale o di solidi appoggi politici, che per impegnare le proprie giornate si dedicavano alla ricerca di cose bizzarre e misteriose.

Oppure avventurieri, militari in missione, scrittori e prelati.

Nell’ambito dell’area di ricerca di cui mi occupo, la mesoamerica, non si possono dimenticare esempi quali Jean Frederic Waldeck (1766-1875), John Lloyd Stephens (1805-1852), Alfred P. Maudslay (1850-1931) o Teobert Maler (1842-1917).

Tutte le persone appena ricordate hanno contribuito in piccola o grande parte a diffondere la conoscenza dei luoghi esplorati dimostrando anche un’attenzione nei confronti della percezione dell’ambiente.

I metodi impegati hanno costituito la base per lo sviluppo della ricerca scientifica archeologica precolombiana.

Non a caso ho posto all’inizio della serie di personaggi il tanto criticato conte Waldeck, reo di avere inserito – per avvalorare le proprie teorie sull’origine dei Maya - nelle litografie della sua opera pubblicata nel 1838 immagini di elefanti e riferimenti al mondo fenicio e medio orientale più in generale.

L’opera di Stephens e del suo prezioso disegnatore Frederick Catherwood al contrario, viene considerata dagli studiosi di americanistica come la pietra miliare per lo sviluppo della moderna archeologia precolombiana.

Eminenti studiosi del calibro di Michael D. Coe non negano di avere più volte letto l’opera dei due viaggiatori ottocenteschi, ricavandone sempre immensa soddisfazione.

Inoltre non bisogna dimenticare come al successo dell’opera abbiano contribuito sicuramente le precise riproduzioni di Catherwood delle rovine visitate.

Riproduzioni tanto fedeli che sono tuttora di riferimento per molti studiosi.

Allo stesso modo vediamo come l’opera di Maudslay sia ancora oggi di enorme importanza per studiosi quali Linda Schele e Peter Mathews per la conferma di alcune teorie presenti nel loro ultimo The code of kings (1998).

Le fotografie di Maler poi non possono essere ignorate da chiunque si dedichi allo studio della scrittura maya.

Gli esempi potrebbero essere molti di più, e giungere quindi fino ai nostri giorni.

In tutti comunque possiamo rintracciare la medesima necessità di "andare oltre" la parola scritta, di riuscire a superare i vincoli della lingua per poter comunicare concetti, ma soprattutto sensazioni e contesti altrimenti inesprimibili.

Mi si potrebbe obiettare che la capacità peculiare di alcuni scrittori e poeti di "generare visioni" con i propri scritti non sente alcun bisogno di apporti da altre discipline per far volare la mente e l’immaginazione verso situazioni mai conosciute.

È vero, ma si tratta di un dono che pochi possiedono, e comunque è sicuramente poco applicabile ad una disciplina scientifica.

Stephens, ad esempio era stato elogiato persino da Edgar Allan Poe per le proprie relazioni di viaggio, ma ciononostante senza le precise immagini di Catherwood, la sua opera non sarebbe stata sicuramente considerata dagli studiosi e dal pubblico come invece è avvenuto.

Notiamo quindi come in tutte i lavori di queste persone gli scritti abbiano avuto necessità delle immagini per comunicare con più efficacia e precisione il proprio messaggio.

 

Dal punto di vista della percezione del luogo, se non addirittura della percezione spaziale del sito archeologico, si deve comunque ammettere che anche le pur pregevoli immagini di Catherwood non ci riescono a restituire gli spazi e le costruzioni.

Essere a Copan, percorrere il campo della pelota, sostare nella Gran Plaza come nell’Acropoli Centrale, restituiscono sensazioni ed immagini rare, di cui è persino difficile scrivere.

La percezione di un luogo va sicuramente al di là della pura e semplice immagine.

I suoni, la luce, il mutare dei colori e degli agenti atmosferici che caratterizzano in maniera inconfondibili un sito da ogni altro, non riescono a giungere a noi attraverso le immagini statiche di cui abbiamo parlato.

Oggi: la Rete

A più di un secolo e mezzo di distanza dagli esempi citati nel paragrafo precedente ci troviamo a questo congresso virtuale di antropologia e archeologia.

Cosa è cambiato da allora?

Una mano è fissa sul mouse, l’altra alla tastiera e gli occhi scorrono veloci le informazioni presenti sul video.

Un piccolo movimento del mouse permette di muoverci all’interno del Tempio delle Iscrizioni di Palenque, e subito dopo di "tastare" e "manipolare" l’Altare Q di Copan.

Gli archeologi scrivono sempre libri convenzionali, cartacei, ma incominciano ad apparire sulla Rete.

Vediamo in particolare le tendenze più diffuse:

  • il sito virtuale
  • il museo / collezione / esposizione virtuale
  • l’editoria elettronica

il sito virtuale

si tratta dell’approccio più intuitivo al problema.

Il sito Web non è altro che la riproduzione virtuale del "sito" archeologico.

In genere si passa da una prima serie di pagine introduttive contenenti informazioni generali sulla storia, la localizzazione geografica e la storia archeologica, fino a giungere a mappe interattive dell’insediamento che rimandano ad immagini.

Il più delle volte le immagini sono statiche. Grandangoli fotografici più o meno spinti ci permettono di cogliere scorci delle strutture e degli elementi peculiari del sito (steli, altari, sculture o iscrizioni).

Con la diffusione della tecnologia virtuale, abbiamo assistito ad un fiorire di immagini panoramiche non più statiche, ma comandate dal movimento del mouse e dai controlli di zoom impartiti da tastiera.

Mediante la tecnica degli "hot-spot" nelle immagini panoramiche abbiamo poi avuto la possibilità di "linkare" ulteriori immagini virtuali all’interno della panoramica principale.

La tecnica delle panoramiche virtuali è stata poi sviluppata da diverse case produttrici di software.

Si tratta di un processo che parte da immagini convenzionali (acquisite mediante scanner, o prodotte direttamente da apparecchi fotografici digitali), assemblate in sequenza mediante processi di "stiching" (che alcuni software attuano automaticamente), tagliate nei margini superiori e inferiori ("crop") per eliminare le parti maggiormente deformate, ed infine salvate in formato panoramico alla risoluzione desiderata.

Negli ultimi due anni, il mercato ha messo a disposizione prodotti sempre più efficaci a prezzi sempre più ridotti, rendendo quindi accessibile la suddetta tecnica praticamente a chiunque possieda un Personal computer Windows compatibile.

L’offerta di siti archeologici virtuali si è quindi moltiplicata in maniera esponenziale.

La struttura di base comunque si può dire che sia rimasta sostanzialmente invariata.

 

Dal punto di vista percettivo è indubbio il miglioramento rispetto a quanto osservato per le immagini di Maler o Catherwood: si ha una sensazione di immersione nel luogo decisamente superiore.

La possibilità di passare da immagine a immagine mediante gli "hot-spot", rende la navigazione nel "luogo virtuale" più realistica, così come l’opportunità di "zoomare" un particolare si avvicina alla realtà percettiva cui siamo abituati.

Sicuramente si riesce ad ottenere un’idea più completa di quello che può essere il luogo e l’insediamento archeologico.

Ma il sistema risulta essere ancora estremamente lontano dal libero percepire.

Come in un moderno videogame, il percorso si muove lungo binari ampiamente progettati e prestabiliti dal creatore del sito.

Ci si muove tra punti fissi, non sono ammesse divagazioni, non sono ammesse curiosità che non siano venute anche a chi ha scattato le immagini fotografiche originali.

I particolari "zoomati" perdono di definizione, contrariamente a quanto avviene nella realtà fisiologica della percezione, dove mediante un’inversione di importanza tra sfondo e soggetto, riusciamo a concentrare l’acutezza visiva e percettiva in uno scorcio ben preciso.

il museo / collezione / esposizione virtuale

in questo caso ci troviamo in presenza di una serie di reperti archeologici che devono essere presentati al visitatore del sito.

L’organizzazione di un sito di questo tipo può essere cronologica, per cultura, civiltà, tipologica, dipendente da un itinerario oppure estetica.

In ogni caso ci troviamo in presenza di un database di dati associati all’immagine di quanto descritto.

Nei casi più semplici, le descrizioni ripropongono le scarne note presenti nelle bacheche del museo reale e vi associano immagini statiche dell’oggetto.

In esempi più elaborati troviamo un primo sviluppo del testo (cosa sicuramente più semplice da fare) con note ipertestuali che rimandano a cronologie, mappe e documenti di varia natura.

La multimedialità comincia a farsi più presente quando troviamo immagini dei reperti che non sono più statiche ma "oggetti" ("objects").

Gli "oggetti" hanno la caratteristica di poter essere girati col mouse, "zoomati" e osservati nei minimi particolari (ovviamente se la risoluzione in pixel con cui sono stati creati è sufficientemente alta).

Ultimo step cui siamo pervenuti nell’ambito delle presentazioni multimediali di musei, collezioni o esposizioni, è l’integrazione di immagini panoramiche virtuali delle sale espositive con rimandi ipertestuali agli oggetti esposti grazie alla tecnica già citata degli "hot-spot".

Il tutto immerso in suoni e didascalie sonore che si attivano automaticamente in funzione della posizione del visitatore.

 

La percezione di un museo virtuale risulta essere decisamente più realistica.

È forse l’unico caso tra quelli qui citati in cui il virtuale risulti essere più indicato rispetto all’equivalente reale (con alcune eccezioni che citeremo in seguito).

La preoccupazione maggiore di gran parte degli allestitori di mostre, musei ed esposizioni è sicuramente il cercare di fare emergere l’oggetto esposto rispetto al contenitore espositivo (cioè l’edificio).

Nei casi più sofisticati di virtualizzazione dell’esposizione ci troviamo di fronte agli oggetti esposti con possibilità di interazione finora impensabili in una esposizione reale.

Inoltre, la mancanza di agenti di disturbo quali possono essere altri visitatori, luci malposizionate o non funzionanti, contenitore espositivo preponderante nei confronti di ciò che viene esposto, orari di apertura, rende questa soluzione ideale per una fruizione singola.

Sottolineo il fatto che la fruizione sia singola proprio per parlare di quello che invece risulta essere il lato negativo di un simile metodo espositivo.

Manca il rapporto col resto dei visitatori, che anche se può essere nella maggior parte dei casi disturbante, può anche essere fonte di stimoli conoscitivi a carattere interpersonale e culturale.

Manca la possibilità di visitare con la persona che si ama o con gli amici l’esposizione, che anche se non possiede una caratteristica culturale, sicuramente non è secondaria nelle motivazioni del popolo dei frequentatori di musei.

Manca il rapporto spaziale e dimensionale con gli oggetti esposti.

L’editoria elettronica

Si tratta del passo immediatamente successivo alla pubblicazione cartacea.

Nella maggior parte dei casi la digitalizzazione non ha aggiunto nulla al testo originale.

In altri casi, ancora estremamente rari, il progetto elettronico ha assunto caratteristiche proprie, con integrazioni di filmati, file sonori, immagini e oggetti virtuali, mappe ipertestuali del documento che lo rendono decisamente più apprezzabile e "performante" da chi lo consulti attraverso il Personal Computer.

Esempi di questa categoria sono generalmente pubblicati su CD-ROM, oppure sono consultabili via Internet in quelle che ormai vengono definite "biblioteche virtuali".

Rientrano in questa relazione dedicata alla percezione elettronica solo marginalmente, e per questo non vi dedichiamo ulteriore spazio.

Domani

Abbiamo esplorato in modo preliminare e sommario il panorama dell’archeologia virtuale legata al problema della percezione soggettiva del visitatore.

Come architetto che si occupa di archeologia precolombiana, non posso considerare i progressi tecnologici informatici sin qui avvenuti in modo positivo.

I luoghi reali sono ancora lontani dalla Rete.

La Rete è sicuramente un enorme veicolo di diffusione per dati scientifici, opinioni personali e commerci di varia natura.

La ricerca archeologica può fare riferimento alla Rete per quanto riguarda il patrimonio di informazioni che le varie realtà di ricerca vogliono condividere col resto degli studiosi.

Grazie alla posta elettronica anche le comunicazioni scientifiche possono essere conosciute e diffuse con maggior capillarità e velocità.

 

Ma la percezione dei siti archeologici non può ancora essere trasmessa via computer.

Come abbiamo visto manca la estemporaneità che solo un soggetto vivente presente sul luogo possiede.

Non sono trasmissibili né emozioni, né tantomeno le sensazioni ambientali che portano un ricercatore a intuire il perché di certe scelte spaziali e urbanistiche.

Manca il rapporto con la natura e con chi vive in quella natura.

Gli "oggetti" virtuali sono adimensionali e privi di peso e sono freddi come il mezzo che ci permette di osservarli.

Per il momento le immagini panoramiche virtuali così come gli "oggetti" possono essere sicuramente utili a siti Web turistici, ma non a archeologi o architetti.

Il domani è sempre più difficile da immaginare.

Lo studio personale del fenomeno è ancora in fase preliminare, e per evitare di sfociare nella fantascienza, voglio solo sperare che si preferisca la semplicità alla complessità.

In senso più ampio, ciò che mi auguro è che la realtà virtuale non arrivi a soppiantare la realtà reale, non riuscendo più a distinguere tra ciò che deve continuare ad essere strumento di studio e ciò che deve essere l’obiettivo dello studio.

Arch. Massimo Stefani

Co-fondatore dell’Associazione culturale Studio d’autore - Milano

Collaboratore del Centro Studi e Ricerche Archeologiche Precolombiane - Brescia

e-mail stefani@harpaceas.it


1er Congreso Virtual de Antropología y Arqueología
Ciberespacio, Octubre de 1998
Organiza: Equipo NAyA - info@equiponaya.com.ar
http://www.equiponaya.com.ar/congreso

Auspicia:


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